Prima
di agire decisi di far concludere l’interrogatorio della signora Fratti.
Dopotutto nella polizia vige una certa etica/burocrazia, a seconda della
circostanza. Terminato il colloquio con la donna, Ducato si alzò in piedi e
rivolgendosi a Flavio disse:
«Ok
Flavio, noi andiamo in questura. Se vuoi seguirci …»
«Prendo
la macchina e ci vediamo lì. Alex, andiamo».
«Perché
andare in questura? Non è necessario, ispettore. Almeno, non per adesso».
«Ti
sei bevuto il cervello?!» esclamò Flavio con rabbia. «La polizia deve far luce
sul caso e andare in questura è uno step necessario per …».
«Ma
io ho risolto il caso. Questo non vi interessa?».
La
stanza puntò gli occhi verso di me e si riempì di un brusio generale
«Stai
scherzando?!» mi domandò Ducato.
«Per
niente, ispettore. Ho risolto il caso, ho scoperto chi è l’assassino del signor
Fratti e so anche come incastrare il colpevole».
«Ma
non dire sciocchezze, ragazzo! Non abbiamo prove a sufficienza per inchiodare
qualcuno!».
«Insisto.
So di potercela fare» dissi guardandolo intensamente.
Ducato
parve quasi rassegnato e con un gesto della mano mi diede via libera.
«Ispettore!»
esclamò rabbiosamente Flavio. «Non vorrà mica … non avrà intenzione di mandare
un dilettante allo sbaraglio, non è vero?!».
Dal
canto suo Ducato pareva molto tranquillo. «Io coordino solamente il lavoro» si
limitò a rispondere. «Il responsabile di quel ragazzo e delle sue azioni sei
tu».
Flavio
mi si avvicinò furtivamente. «Se sbagli e mi fai fare brutta figura ti
rispedisco a casa con un calcio nel sedere!».
Diretto
ed elegante, questo è Flavio.
Mi
accomodai sul divanetto dell’ufficio e, accavallando le gambe, cominciai a
parlare.
«Se
non vi dispiace, passo alla spiegazione».
«Prego»
disse Ducato poco convinto. Lanciò un’occhiata perplessa a Flavio, che gliene
restituì una identica. Poi l’ispettore gli chiese: «Perché ha assunto quella
posa plastica?».
«Lei
lo sa?» ribatté Flavio.
«L’assassino
ha costruito un piano ben congeniato ed è riuscito ad ingannarci fin dal primo
momento. L’astuzia di questa persona è stata degna di un assassino di un libro
giallo e devo dire che sono sorpreso che una mente umana sia potuta arrivare a
tanto. Innanzitutto, come dedotto precedentemente, il delitto è stato commesso
da uno di questi tre sospetti, che a turno sono stati interrogati. Tutti e tre
avevano un movente valido per uccidere la povera vittima e non provate a
negarlo, signori. Tutti potevate commettere questo efferato delitto».
«Ispettore»
sussurrò il signor Norgi, l’assistente di studio della vittima.
«Cosa
c’è’?».
«Ma
fate risolvere un caso di omicidio ad un ragazzino?».
Ducato
rispose con un risolino isterico e poi mi guardò storto, fulminandomi con lo
sguardo.
«Allora?
Chi è il colpevole? Sono impaziente!» esclamò Flavio.
«Già!
Chi ha ucciso l’avvocato?» domandò impaziente Veronica.
Feci
passare qualche secondo, poi continuai.
«Signora
Fratti, vuole confessare? Non si scomodi a negare, sappiamo tutto».
Il
silenzio avvolse completamente la stanza e tutti adesso guardavano la moglie
della vittima con sguardo sconcertato.
D’
un tratto le lacrime della vedova divennero risate incontrollate e il mascara
sciolto contribuì a farla assomigliare ad un patetico clown.
«Oh,
davvero? E così avrei ucciso mio marito? Perché non provi a dimostrarlo,
ragazzino?» mi chiese cominciando a camminarmi intorno.
«Spero
tu possa spiegarci» incitò Ducato guardandomi negli occhi. Flavio era rimasto ad
osservare la scena in silenzio. Carezzava la testolina di Andrea e sembrava che
quel gesto lo estraniasse dalle preoccupazioni. Mio fratello se n’era stato in
silenzio per tutto il tempo, seduto in un angolo lontano dello studio in
compagnia di un agente della scientifica che aveva provveduto a farlo
rilassare.
«L’ora
del delitto stabilito dalle analisi della scientifica è approssimativa. Diciamo
che la morte risale alle sette e quindici e …».
«Ecco
che hai commesso un erroraccio da dilettante! Non può essere! L’hai detto tu
stesso che le analisi della scientifica sono approssimative! Il signor Fratti deve
essere arrivato in ufficio intorno alle sette e venticinque. E il delitto è
stato commesso qui signori, ricordiamoci di questo piccolo ma importante
particolare!» tuonò Flavio verso la folla.
«Ed
è qui che vi sbagliate» affermai convinto.
«Cosa?!»
esclamò rabbioso Ducato.
Mi
alzai in piedi. «La scientifica ha detto che i fatti sono avvenuti tra le sette
e quindici e le otto, ma non ha calcolato l’ora in cui è l’avvocato è morto,
anche perché francamente è impossibile da stabilire con precisione».
«Illuminami.
Il palco è tuo» disse Flavio.
«Be’,
credo che il delitto sia avvenuto molto tempo prima l’ora stabilita dalle prime
analisi».
«Cioè
quando?».
«Quaranta,
quarantacinque minuti prima».
«Ora
basta, stai veramente delirando! La scientifica» proseguì Ducato «ha effettuato
analisi precise, basate su deduzioni che … ».
«Mi
dica, in che stato era il cadavere quando siete arrivati qui?».
Ducato
rivolse la stessa domanda ad un agente della squadra scientifica, che rispose:
«Il
corpo stava cominciando ad irrigidirsi, e …» l’ispettore lo fermò con un cenno
della mano deciso.
«Questo
significa solo una cosa …» osservò incredulo.
«Subito
dopo la morte,» e cominciai a giocherellare con un portapenne rappresentante
una piccola volpe «i muscoli sono flaccidi e iniziano ad irrigidirsi solo dopo
un periodo compreso tra l’una e le tre ore dopo il decesso. Se la scientifica
ha asserito che al momento dell’arrivo della polizia il corpo stava per
iniziare il processo di irrigidimento, è probabile che il delitto si sia
verificato almeno un’ora prima».
Ducato
si voltò verso il responsabile della squadra, che dal canto suo annuì.
«Vede
ispettore, nel referto che ho sbirciato prima …».
«Hai
sbirciato il referto?!».
«Ehm
… dicevo, c’era scritto che l’irrigidimento … »
«Non
devi sbirciare i referti!»
« …comprendeva
la mascella e i gomiti».
«Già.
Ma questo dovrebbe far sballare anche la tua deduzione!». Ducato allargò le
braccia. «La prima parte del corpo ad irrigidirsi è proprio la mascella e il
gomito non lo segue di certo a ruota. Sono necessari alcuni minuti prima che
…».
«Ma
mi dica, cosa succede se fa caldo?».
Rimase
basito.
«Uff, è naturale, no? Il processo di
irrigidimento si accentua e di conseguenza si velocizza».
Annuii
convinto.
«Ma
siamo agli inizi di Settembre! Non fa così caldo!».
«Ma
il corpo potrebbe essere trasportato, non crede?».
«Vuoi
dire che …».
«Non
è un ipotesi così impossibile e guardando il referto si capisce il perché.
L’errore è credere che il delitto sia avvenuto in ufficio e credere che il
signor Fratti sia stato ucciso qui».
Flavio
intervenne: «Stai dicendo che la vittima è stata ammazzata lontano da qui?!».
«Certo.
Il decesso non è avvenuto in ufficio, bensì nell’abitazione dei Fratti! La
signora, dopo aver fatto colazione con suo marito, ha approfittato di un
evidente momento di distrazione della povera vittima, ha indossato dei guanti ed
ha cercato di strangolare suo marito. Ma non ha calcolato bene i tempi ed ha
effettuato la presa mentre suo marito si stava voltando. La signora, però, ha
approfittato della corporatura esile e minuta della vittima ed ha stretto
ancora di più la morsa provocandone il decesso per strangolamento. Il signor
Fratti ha cercato di difendersi e con le ultime forze è riuscito a imprimere le
mani sul collo del suo assassino».
«C’è
una prova così concreta?! Ne sei sicuro?» Ducato era un fascio di nervi, non
sapeva più da che parte voltarsi e cominciava a sudare in maniera imbarazzante.
«Uno
degli agenti della scientifica ha ritrovato degli esigui frammenti di pelle
umana sotto il dito medio sinistro della vittima. Voleva comunicarglielo, ma
lei stava ancora interrogando i sospetti. In più l’unghia dell’avvocato è
scheggiata, questo perché ha cercato ovviamente di difendersi come poteva».
«Corrisponde,
ispettore» disse l’agente della scientifica interpellato.
«Tutto
ciò è incredibile» si lasciò sfuggire Flavio.
«E
non è tutto. Come le dicevo, dopo che il signor Fratti è morto, sua moglie lo
ha trasportato qui, approfittando sempre del fatto che avesse una corporatura
abbastanza esile. Probabilmente avrà messo suo marito in una busta
dell’immondizia, o qualcosa del genere, e immagino abbia chiesto a qualcuno dei
vicini di aiutare a sollevarla e a metterla in auto, spacciando il tutto per
chissà quale bugia. Ecco spiegata la questione del calore corporeo della quale
discutevamo poco fa. Quando la signora è arrivata in ufficio, la vittima era
già morta da un pezzo ed erano circa le sette e venticinque. Lei, signora
Fratti,» e mi rivolsi alla donna «conosceva benissimo le abitudini di suo
marito. Sapeva che entrava sempre dalla porta sul retro, sapeva che la mattina
non voleva essere disturbato per almeno un po’ di tempo, ed ha sfruttato tutto
questo a suo vantaggio. Un piano veramente ben congegnato». Mi scostai dalla
scrivania e raggiunsi la finestra dell’ufficio. Scansai le tende cerulee e
continuai: «Ha posizionato il cadavere a terra, rovesciato qualche soprammobile
per far credere ad una colluttazione e lanciato l’allarme».
La
vedova era in preda ad una crisi di nervi. Lo sguardo spento e vitreo non
faceva che risaltare la sua colpevolezza. Mi lanciò talmente tanti insulti che
per un attimo pensai che parlasse un’altra lingua. Le inflessioni dialettali
suonavano come pugni in mezzo agli occhi e la situazione cominciava ad essere
abbastanza pesante, tanto da assumere i contorni di una vera e propria scenata.
«Non
hai prove contro di me, idiota! Sei solo un insulso detective da quattro soldi!
E lei … » disse rivolgendosi a Ducato «lei fa mettere il becco di un ragazzino
in queste circostanze? Dovrebbe vergognarsi!»
Ducato
mi guardò severamente.
«Lei
si sbaglia signora» sussurrai. «Io le ho eccome le prove della sua
colpevolezza. Purtroppo per lei, sono più di un semplice terzo incomodo. Non
posso stare zitto di fronte alla sua crudeltà» conclusi indignato.
«Hai
le prove? Sono curiosa!» ostentò con visibile aria di sfida.
«Come
ho detto prima, sotto le unghie della vittima ci sono frammenti di pelle. Pur
essendo piccoli verranno certamente esaminati e ovviamente conosceremo il DNA
del nostro assassino. Sono certo che coinciderà col suo. Come se non bastasse,
annusando le unghie della vittima si può notare come siano impregnate di un
profumo tipicamente femminile».
«Forse»
continuò la signora «hai dimenticato che c’è anche la segretaria, che potrebbe
aver usato il mio stesso profumo».
«No,
signora. Non l’ho dimenticato, affatto. Nonostante tutto lei ha le prove della
sua colpevolezza addosso. Non ci è ancora arrivata?» le chiesi mentre la fronte
le si era imperlata dal sudore.
Poi
indietreggiò di un passo e capì che non poteva più negare.
«Ci
dica, perché non scosta quell’elegantissima sciarpa bianca che porta al
collo?».
Rimase
paralizzata e per un attimo vidi la bocca muoversi senza dire nulla.
«Signora,
esegua per favore» intervenne Novento.
«Non
può farlo, vero? Ci sono i segni che suo marito le ha lasciato sul collo nel
disperato tentativo di salvarsi. Sono piccoli, ma si notano facilmente».
Ora
guardava in basso e tremava come una foglia.
«Inoltre,»
continuai mentre stava cercando di ribattere «sulla porta dalla quale suo
marito entrava in ufficio tutte le mattine, ci sono dei segni di scorticamento,
proprio all’altezza dei piedi».
«E
allora?!» urlò.
«Osservi
bene le scarpe dei sospetti, ispettore. La signora Veronica indossa comuni
scarpe da tennis, mentre Oreste ha dei mocassini. L’unica ad avere scarpe con
il tacco,anzi in questo caso con la punta adunca, è la signora Fratti. Quei
segni può averli fatti solo lei nel tentativo maldestro di posizionare suo
marito a terra». Mi appoggiai ad un tavolino in legno. «Di certo, arrivata in
ufficio con un cadavere, non poteva chiedere più alcun aiuto».
«Però»
osservò Flavio «la porta potrebbe essersi rovinata molto prima».
«Se
fosse come dici, non credi che sul graffio ci debbano essere tracce di sporco?
Ricordiamoci che il legno è stato tolto dalla facciata della porta che volgeva
verso l’esterno. In questi giorni ha piovuto a Torino. Lo so perché prima di
trasferirmi mi sono informato sul clima della città. Dunque, se i segni sul
legno fossero vecchi, dovrebbero esserci almeno segni di sporco, di umidità,
non crede? Invece nulla, pulitissimo. Ne deduco che il taglio è stato fatto da
poco, da molto poco, se consideriamo che al tatto è ancora fresco».
Un
agente della scientifica controllò sotto i capelli della signora. Sulla parte
posteriore del collo c’erano i segni verticaliche suo marito le aveva provocato
per tentare di salvarsi disperatamente la vita.
La vedova
si gettò in ginocchio tra lo stupore generale e le lacrime cominciarono a
rigarle il viso.
«Lo
ammetto,» disse con la testa tra le mani «l’ho ucciso io, ma l’ho fatto per una
buona ragione».
«Signora,»
cominciò Flavio con tono indignato «noi non abbiamo il potere di togliere la
vita ad un essere umano, qualunque ragione ci spinga a farlo. Non è altro che
lo specchio del nostro stesso egoismo» concluse gettando la sigaretta.
«Stia
zitto! Lei non sa nulla della mia famiglia! Mio marito non aveva mai voluto
avere figli da me, ma il mese scorso un detective che avevo assunto per
pedinarlo, mi aveva confessato che aveva una relazione extraconiugale con una
donna molto più giovane. E quel bastardo l’ha addirittura messa incinta!».
Tutti
noi ci guardammo stupiti. Era incredibile dove potevano arrivare la follia e la
crudeltà umana: quella donna aveva ucciso suo marito, con il quale aveva
condiviso anni e anni di vita, per l’infedeltà di quest’ultimo. Ucciso per non
aver trasformato l’amore in qualcosa di concreto.
L’ispettore
Ducato indusse Novento ad arrestare la donna. Gli agenti della scientifica
raccolsero le loro cose e ci salutarono con un veloce cenno del capo.
«Dov’è
il bagno?» aveva chiesto Alex pochi minuti prima. Ora il ragazzo non era più
nella stanza e Ducato e Flavio erano
liberi di poter parlare tra loro.
«Sorprendente!»
esclamò l’ispettore con gli occhi che brillavano.
«Già»
rispose l’uomo accendendosi un’altra sigaretta. «Per essere un ragazzino, non è
niente male».
«Flavio,
ci vediamo presto. Ora che sei di nuovo nel giro dopo cinque anni, lavoreremo
insieme più spesso».
«Ci
conto, ispettore. Ci conto davvero».
Uscii
dal bagno e mi sedetti paziente nella sala d’attesa dello studio legale. Notai
una rivista di moda e iniziai a navigare tra quelle pagine che pullulavano di
belle ragazze con le ossa in bella vista e un’espressione del viso snob. Poi la
mia attenzione cadde su un vecchio quotidiano stropicciato. Era vecchio di anni
e il trafiletto sul lato sinistro era di mio padre.
Papà
e mamma si erano innamorati quando erano giovanissimi ed entrambi condividevano
la stessa passione per la scrittura. Amavano saper raccontare e saper
trasmettere emozioni alla gente con le proprie parole. La differenza era il
tipo di storie che preferivano raccontare. Mentre mio padre era alle prese con
dossier di assassini, foto di incendi e articoli sulla mafia locale, mia madre
era la regina delle indiscrezioni scabrose e degli scoop sui personaggi
pubblici.
Mamma
mi disse che papà morì in un incidente stradale. A ripensarci, credo sia stata
quello lo spartiacque della mia famiglia.
«Fratellone,
andiamo? Ho fame, devo ancora fare colazione!» disse Andrea scuotendomi il
braccio e riportandomi alla realtà.
«E
tu? Che fine avevi fatto?».
«Tu
in macchina mi avevi detto di stare buono e io sono stato buono. Lo sai che sei
stato proprio forte?!».
Lo
baciai sulla fronte e gli strinsi la manina.
Usciti
dall’ufficio ci dirigemmo verso il bar più vicino.
Presi
un caffè macchiato, mentre Flavio si concesse un ulteriore caffè corretto. Il piccolo
chiese espressamente «cornetto e cappuccino».
«Niente
male» mi disse Flavio mentre mi accingevo a pagare.
«Ti
riferisci al caso?».
«No,
ai tuoi pantaloni … certo che mi
riferisco al caso!».
«Ok,
non c’è bisogno di arrabbiarsi tanto …».
«Non
montarti la testa, però. Ho conosciuto agenti di polizia che avevano capacità
deduttive straordinarie e si sono persi per la strada, mi raccomando, non fare
lo sbruffone, non sentirti mai arrivato, mai sazio. Devi continuamente avere
fame, devi essere affamato, devi …».
«Sono
affamato» guardai il mio fagottino.
Flavio
tirò un enorme respiro e prese a guardarmi di traverso.
«Scherzavo.
Ho capito» lo rassicurai.
Mi
guardò ancora sospettoso.
«Prometto
di non montarmi la testa. O vuoi anche il ditino» e gli mostrai il mignolo «per
consolidare il patto?»
«E
usa meno sarcasmo, già che ci sei» mi avvisò sporcandosi il pizzetto di crema
al limone.
Colarte
mi aveva messo sulla strada, alla macchina avrei pensato io. Giusto così, il
carburante si sarebbe chiamato responsabilità.
∞
Notte
fonda, ore due e trenta.
Il
vento sbatteva insistentemente sulle finestre provocando rumori da brivido e il
continuo oscillare degli alberi garantiva un’atmosfera tetra e al tempo stesso
temibile. In un salone davvero troppo sfarzoso per essere legale, due uomini
parlavano e si confidavano segreti. Che essi fossero professionali o personali
non aveva importanza. Il primo era un vecchio, aveva almeno novant’anni e
tossiva in continuazione, ma era piuttosto arzillo. Le tempie imbiancate, le
vene pulsanti e la voce roca suggerivano un’esistenza passata nel precario, sul
filo del rasoio, in una condizione di vita molto altalenante. Gli occhi azzurri
avevano ormai perso lo smalto di un tempo e per quanto in passato fosse stato
un uomo forte e deciso, con il veloce sopraggiungere dell’età e della malattia
che lo affliggeva era diventato debole come una foglia d’autunno e sembrava
vulnerabile tanto quanto un bambino.
Il
secondo tizio era suo figlio, con precisione il primogenito. Aveva dei capelli
biondi scuri raccolti in un codino e un fisico invidiabile, da paura. I
lineamenti duri e spigolosi completavano il quadro di una persona dotata di
enorme freddezza e di uno sguardo capace di far impallidire il più coraggioso
dei soldati. Non aveva sicuramente più di trentacinque anni, ma sembrava
appartenere a questo mondo da molto, molto più tempo. Entrambi gli uomini
fumavano, anche se il vecchio avrebbe dovuto smettere anni prima.
«Hai
… hai telefonato a quella donna?» chiese l’uomo più vecchio.
«Certo,
papà. Non avrei dovuto?» rispose l’uomo più giovane.
«No,
hai fatto bene … quel porco avrà quello che si merita».
«Tutto
questo per quello che accadde cinque anni fa, non è vero?».
«E
per cosa altrimenti? Tua madre ha esalato l’ultimo respiro a causa di quel
figlio di puttana!».
«Sì,
lo so» asserì il biondo. Poi gettò la sua sigaretta in un elegante posacenere
di cristallo e si distese comodamente sul divano slacciandosi la cravatta con
una certa destrezza.
«La
segnalazione di quel detenuto è stata davvero utile. Quand’è programmata la sua
evasione?» domandò ancora il vecchio.
«Domani
notte a quest’ora. Uno dei nostri si travestirà da sentinella e stordirà i
poliziotti di guardia. Esattamente come previsto, papà».
«Pagherà
caro, pagherà con la vita, quel bastardo. Non avrebbe dovuto mettersi contro di
noi» sentenziò il vecchio, che intanto si era alzato dal suo posto ed era preso
dal sistemarsi la giacca beige che portava quasi sempre.
«Che
intenzioni hai, adesso?».
«Voglio
andare nel mio studio e ritoccare bene il piano. Non gli permetterò mai più di
accostarsi qui. Ci vorrà un po’ di tempo, ma sono certo che ce lo toglieremo
dalle palle per sempre».
«Sarà
meglio che ti riposi un po’, non credi? Potresti …».
Il
vecchio sbottò e diede un pugno sul prezioso tavolino in legno pregiato. Un
candelabro dorato si rovesciò a terra con violenza e la cera delle candele
macchiò il parquet.
«Lo
so io cosa devo fare e cosa il mio fisico può ancora fare. E adesso andrò nel
mio studio a meditare su come posso uccidere quel porco, siamo intesi?».
«Intesi
…» rispose suo figlio con calma. Non lo emozionava nulla e nemmeno un
proiettile avrebbe scalfito la sua sicurezza.
Nonostante
fosse suo padre avrebbe voluto prenderlo a pugni. Lo si notava solo
guardandolo, con quell’espressione cattiva sul volto e gli occhi chiari che
scintillavano sotto l’influenza dell’odio. Lo rispettava, certo, ma il suo
carattere non faceva sconti.
«Chiunque
ti si metta contro non merita di vivere» era quello che gli avevano insegnato.
E questo valeva per tutti, parenti compresi.
«Ah,
Diego …» lo chiamò suo padre mentre usciva dal salone. «Chiama tuo fratello e
vedi cosa sta combinando, chiaro? Poi domattina parliamo. Intesi? Tanto di
argomenti ce ne sono».
Diego
annuì con tranquillità, poi, una volta che suo padre fu uscito dalla stanza,
incrociò le gambe e i pensieri lo sovrastarono.
«Cinque
anni … sono già passati cinque anni. Papà riuscirà a vendicarti, mamma. E ci
riuscirò anch’io, te lo prometto» sul viso del ragazzo si dipinse un ghigno
inquietante. «Ormai so tutto ciò che devo sapere».
Prese
una foto spiegazzata dalla vetrinetta accanto al divano. Ritraeva suo padre da
giovane, ma Diego la guardò sadicamente. Pochi attimi dopo le diede fuoco col
suo accendino.
«Quel
detective …» riprese a pensare. «La cosa che non capisco è la sua idea di
mettersi di nuovo contro di noi».
Si
alzò e raggiunse l’enorme vetrata della casa. Osservò la luna e le stelle e
aprì la porta finestra gettando le ceneri della foto nell’enorme giardino che
aveva di fronte. «Come vuoi, amico. Morirai al più presto».