venerdì 9 ottobre 2015

Alex Fedele - FILE 005 - Game Over

Prima di agire decisi di far concludere l’interrogatorio della signora Fratti. Dopotutto nella polizia vige una certa etica/burocrazia, a seconda della circostanza. Terminato il colloquio con la donna, Ducato si alzò in piedi e rivolgendosi a Flavio disse:
«Ok Flavio, noi andiamo in questura. Se vuoi seguirci …»
«Prendo la macchina e ci vediamo lì. Alex, andiamo».
«Perché andare in questura? Non è necessario, ispettore. Almeno, non per adesso».
«Ti sei bevuto il cervello?!» esclamò Flavio con rabbia. «La polizia deve far luce sul caso e andare in questura è uno step necessario per …».
«Ma io ho risolto il caso. Questo non vi interessa?».
La stanza puntò gli occhi verso di me e si riempì di un brusio generale
«Stai scherzando?!» mi domandò Ducato.
«Per niente, ispettore. Ho risolto il caso, ho scoperto chi è l’assassino del signor Fratti e so anche come incastrare il colpevole».
«Ma non dire sciocchezze, ragazzo! Non abbiamo prove a sufficienza per inchiodare qualcuno!».
«Insisto. So di potercela fare» dissi guardandolo intensamente.
Ducato parve quasi rassegnato e con un gesto della mano mi diede via libera.
«Ispettore!» esclamò rabbiosamente Flavio. «Non vorrà mica … non avrà intenzione di mandare un dilettante allo sbaraglio, non è vero?!».
Dal canto suo Ducato pareva molto tranquillo. «Io coordino solamente il lavoro» si limitò a rispondere. «Il responsabile di quel ragazzo e delle sue azioni sei tu».
Flavio mi si avvicinò furtivamente. «Se sbagli e mi fai fare brutta figura ti rispedisco a casa con un calcio nel sedere!».
Diretto ed elegante, questo è Flavio.
Mi accomodai sul divanetto dell’ufficio e, accavallando le gambe, cominciai a parlare.
«Se non vi dispiace, passo alla spiegazione».
«Prego» disse Ducato poco convinto. Lanciò un’occhiata perplessa a Flavio, che gliene restituì una identica. Poi l’ispettore gli chiese: «Perché ha assunto quella posa plastica?».
«Lei lo sa?» ribatté Flavio.
«L’assassino ha costruito un piano ben congeniato ed è riuscito ad ingannarci fin dal primo momento. L’astuzia di questa persona è stata degna di un assassino di un libro giallo e devo dire che sono sorpreso che una mente umana sia potuta arrivare a tanto. Innanzitutto, come dedotto precedentemente, il delitto è stato commesso da uno di questi tre sospetti, che a turno sono stati interrogati. Tutti e tre avevano un movente valido per uccidere la povera vittima e non provate a negarlo, signori. Tutti potevate commettere questo efferato delitto».
«Ispettore» sussurrò il signor Norgi, l’assistente di studio della vittima.
«Cosa c’è’?».
«Ma fate risolvere un caso di omicidio ad un ragazzino?».
Ducato rispose con un risolino isterico e poi mi guardò storto, fulminandomi con lo sguardo.
«Allora? Chi è il colpevole? Sono impaziente!» esclamò Flavio.
«Già! Chi ha ucciso l’avvocato?» domandò impaziente Veronica.
Feci passare qualche secondo, poi continuai.
«Signora Fratti, vuole confessare? Non si scomodi a negare, sappiamo tutto».
Il silenzio avvolse completamente la stanza e tutti adesso guardavano la moglie della vittima con sguardo sconcertato.

D’ un tratto le lacrime della vedova divennero risate incontrollate e il mascara sciolto contribuì a farla assomigliare ad un patetico clown.
«Oh, davvero? E così avrei ucciso mio marito? Perché non provi a dimostrarlo, ragazzino?» mi chiese cominciando a camminarmi intorno.
«Spero tu possa spiegarci» incitò Ducato guardandomi negli occhi. Flavio era rimasto ad osservare la scena in silenzio. Carezzava la testolina di Andrea e sembrava che quel gesto lo estraniasse dalle preoccupazioni. Mio fratello se n’era stato in silenzio per tutto il tempo, seduto in un angolo lontano dello studio in compagnia di un agente della scientifica che aveva provveduto a farlo rilassare.
«L’ora del delitto stabilito dalle analisi della scientifica è approssimativa. Diciamo che la morte risale alle sette e quindici e …».
«Ecco che hai commesso un erroraccio da dilettante! Non può essere! L’hai detto tu stesso che le analisi della scientifica sono approssimative! Il signor Fratti deve essere arrivato in ufficio intorno alle sette e venticinque. E il delitto è stato commesso qui signori, ricordiamoci di questo piccolo ma importante particolare!» tuonò Flavio verso la folla.
«Ed è qui che vi sbagliate» affermai convinto.
«Cosa?!» esclamò rabbioso Ducato.
Mi alzai in piedi. «La scientifica ha detto che i fatti sono avvenuti tra le sette e quindici e le otto, ma non ha calcolato l’ora in cui è l’avvocato è morto, anche perché francamente è impossibile da stabilire con precisione».
«Illuminami. Il palco è tuo» disse Flavio.
«Be’, credo che il delitto sia avvenuto molto tempo prima l’ora stabilita dalle prime analisi».
«Cioè quando?».
«Quaranta, quarantacinque minuti prima».
«Ora basta, stai veramente delirando! La scientifica» proseguì Ducato «ha effettuato analisi precise, basate su deduzioni che … ».
«Mi dica, in che stato era il cadavere quando siete arrivati qui?».
Ducato rivolse la stessa domanda ad un agente della squadra scientifica, che rispose:
«Il corpo stava cominciando ad irrigidirsi, e …» l’ispettore lo fermò con un cenno della mano deciso.
«Questo significa solo una cosa …» osservò incredulo.
«Subito dopo la morte,» e cominciai a giocherellare con un portapenne rappresentante una piccola volpe «i muscoli sono flaccidi e iniziano ad irrigidirsi solo dopo un periodo compreso tra l’una e le tre ore dopo il decesso. Se la scientifica ha asserito che al momento dell’arrivo della polizia il corpo stava per iniziare il processo di irrigidimento, è probabile che il delitto si sia verificato almeno un’ora prima».
Ducato si voltò verso il responsabile della squadra, che dal canto suo annuì.
«Vede ispettore, nel referto che ho sbirciato prima …».
«Hai sbirciato il referto?!».
«Ehm … dicevo, c’era scritto che l’irrigidimento … »
«Non devi sbirciare i referti!»
« …comprendeva la mascella e i gomiti».
«Già. Ma questo dovrebbe far sballare anche la tua deduzione!». Ducato allargò le braccia. «La prima parte del corpo ad irrigidirsi è proprio la mascella e il gomito non lo segue di certo a ruota. Sono necessari alcuni minuti prima che …».
«Ma mi dica, cosa succede se fa caldo?».
Rimase basito.
 «Uff, è naturale, no? Il processo di irrigidimento si accentua e di conseguenza si velocizza».
Annuii convinto.
«Ma siamo agli inizi di Settembre! Non fa così caldo!».
«Ma il corpo potrebbe essere trasportato, non crede?».
«Vuoi dire che …».
«Non è un ipotesi così impossibile e guardando il referto si capisce il perché. L’errore è credere che il delitto sia avvenuto in ufficio e credere che il signor Fratti sia stato ucciso qui».
Flavio intervenne: «Stai dicendo che la vittima è stata ammazzata lontano da qui?!».
«Certo. Il decesso non è avvenuto in ufficio, bensì nell’abitazione dei Fratti! La signora, dopo aver fatto colazione con suo marito, ha approfittato di un evidente momento di distrazione della povera vittima, ha indossato dei guanti ed ha cercato di strangolare suo marito. Ma non ha calcolato bene i tempi ed ha effettuato la presa mentre suo marito si stava voltando. La signora, però, ha approfittato della corporatura esile e minuta della vittima ed ha stretto ancora di più la morsa provocandone il decesso per strangolamento. Il signor Fratti ha cercato di difendersi e con le ultime forze è riuscito a imprimere le mani sul collo del suo assassino».
«C’è una prova così concreta?! Ne sei sicuro?» Ducato era un fascio di nervi, non sapeva più da che parte voltarsi e cominciava a sudare in maniera imbarazzante.
«Uno degli agenti della scientifica ha ritrovato degli esigui frammenti di pelle umana sotto il dito medio sinistro della vittima. Voleva comunicarglielo, ma lei stava ancora interrogando i sospetti. In più l’unghia dell’avvocato è scheggiata, questo perché ha cercato ovviamente di difendersi come poteva».
«Corrisponde, ispettore» disse l’agente della scientifica interpellato.
«Tutto ciò è incredibile» si lasciò sfuggire Flavio.
«E non è tutto. Come le dicevo, dopo che il signor Fratti è morto, sua moglie lo ha trasportato qui, approfittando sempre del fatto che avesse una corporatura abbastanza esile. Probabilmente avrà messo suo marito in una busta dell’immondizia, o qualcosa del genere, e immagino abbia chiesto a qualcuno dei vicini di aiutare a sollevarla e a metterla in auto, spacciando il tutto per chissà quale bugia. Ecco spiegata la questione del calore corporeo della quale discutevamo poco fa. Quando la signora è arrivata in ufficio, la vittima era già morta da un pezzo ed erano circa le sette e venticinque. Lei, signora Fratti,» e mi rivolsi alla donna «conosceva benissimo le abitudini di suo marito. Sapeva che entrava sempre dalla porta sul retro, sapeva che la mattina non voleva essere disturbato per almeno un po’ di tempo, ed ha sfruttato tutto questo a suo vantaggio. Un piano veramente ben congegnato». Mi scostai dalla scrivania e raggiunsi la finestra dell’ufficio. Scansai le tende cerulee e continuai: «Ha posizionato il cadavere a terra, rovesciato qualche soprammobile per far credere ad una colluttazione e lanciato l’allarme».
La vedova era in preda ad una crisi di nervi. Lo sguardo spento e vitreo non faceva che risaltare la sua colpevolezza. Mi lanciò talmente tanti insulti che per un attimo pensai che parlasse un’altra lingua. Le inflessioni dialettali suonavano come pugni in mezzo agli occhi e la situazione cominciava ad essere abbastanza pesante, tanto da assumere i contorni di una vera e propria scenata.
«Non hai prove contro di me, idiota! Sei solo un insulso detective da quattro soldi! E lei … » disse rivolgendosi a Ducato «lei fa mettere il becco di un ragazzino in queste circostanze? Dovrebbe vergognarsi!»
Ducato mi guardò severamente.
«Lei si sbaglia signora» sussurrai. «Io le ho eccome le prove della sua colpevolezza. Purtroppo per lei, sono più di un semplice terzo incomodo. Non posso stare zitto di fronte alla sua crudeltà» conclusi indignato.

«Hai le prove? Sono curiosa!» ostentò con visibile aria di sfida.
«Come ho detto prima, sotto le unghie della vittima ci sono frammenti di pelle. Pur essendo piccoli verranno certamente esaminati e ovviamente conosceremo il DNA del nostro assassino. Sono certo che coinciderà col suo. Come se non bastasse, annusando le unghie della vittima si può notare come siano impregnate di un profumo tipicamente femminile».
«Forse» continuò la signora «hai dimenticato che c’è anche la segretaria, che potrebbe aver usato il mio stesso profumo».
«No, signora. Non l’ho dimenticato, affatto. Nonostante tutto lei ha le prove della sua colpevolezza addosso. Non ci è ancora arrivata?» le chiesi mentre la fronte le si era imperlata dal sudore.
Poi indietreggiò di un passo e capì che non poteva più negare.
«Ci dica, perché non scosta quell’elegantissima sciarpa bianca che porta al collo?».
Rimase paralizzata e per un attimo vidi la bocca muoversi senza dire nulla.
«Signora, esegua per favore» intervenne Novento.
«Non può farlo, vero? Ci sono i segni che suo marito le ha lasciato sul collo nel disperato tentativo di salvarsi. Sono piccoli, ma si notano facilmente».
Ora guardava in basso e tremava come una foglia.
«Inoltre,» continuai mentre stava cercando di ribattere «sulla porta dalla quale suo marito entrava in ufficio tutte le mattine, ci sono dei segni di scorticamento, proprio all’altezza dei piedi».
«E allora?!» urlò.
«Osservi bene le scarpe dei sospetti, ispettore. La signora Veronica indossa comuni scarpe da tennis, mentre Oreste ha dei mocassini. L’unica ad avere scarpe con il tacco,anzi in questo caso con la punta adunca, è la signora Fratti. Quei segni può averli fatti solo lei nel tentativo maldestro di posizionare suo marito a terra». Mi appoggiai ad un tavolino in legno. «Di certo, arrivata in ufficio con un cadavere, non poteva chiedere più alcun aiuto».
«Però» osservò Flavio «la porta potrebbe essersi rovinata molto prima».
«Se fosse come dici, non credi che sul graffio ci debbano essere tracce di sporco? Ricordiamoci che il legno è stato tolto dalla facciata della porta che volgeva verso l’esterno. In questi giorni ha piovuto a Torino. Lo so perché prima di trasferirmi mi sono informato sul clima della città. Dunque, se i segni sul legno fossero vecchi, dovrebbero esserci almeno segni di sporco, di umidità, non crede? Invece nulla, pulitissimo. Ne deduco che il taglio è stato fatto da poco, da molto poco, se consideriamo che al tatto è ancora fresco».
Un agente della scientifica controllò sotto i capelli della signora. Sulla parte posteriore del collo c’erano i segni verticaliche suo marito le aveva provocato per tentare di salvarsi disperatamente la vita.
La vedova si gettò in ginocchio tra lo stupore generale e le lacrime cominciarono a rigarle il viso.
«Lo ammetto,» disse con la testa tra le mani «l’ho ucciso io, ma l’ho fatto per una buona ragione».
«Signora,» cominciò Flavio con tono indignato «noi non abbiamo il potere di togliere la vita ad un essere umano, qualunque ragione ci spinga a farlo. Non è altro che lo specchio del nostro stesso egoismo» concluse gettando la sigaretta.
«Stia zitto! Lei non sa nulla della mia famiglia! Mio marito non aveva mai voluto avere figli da me, ma il mese scorso un detective che avevo assunto per pedinarlo, mi aveva confessato che aveva una relazione extraconiugale con una donna molto più giovane. E quel bastardo l’ha addirittura messa incinta!».
Tutti noi ci guardammo stupiti. Era incredibile dove potevano arrivare la follia e la crudeltà umana: quella donna aveva ucciso suo marito, con il quale aveva condiviso anni e anni di vita, per l’infedeltà di quest’ultimo. Ucciso per non aver trasformato l’amore in qualcosa di concreto.
L’ispettore Ducato indusse Novento ad arrestare la donna. Gli agenti della scientifica raccolsero le loro cose e ci salutarono con un veloce cenno del capo.

«Dov’è il bagno?» aveva chiesto Alex pochi minuti prima. Ora il ragazzo non era più nella stanza e  Ducato e Flavio erano liberi di poter parlare tra loro.
«Sorprendente!» esclamò l’ispettore con gli occhi che brillavano.
«Già» rispose l’uomo accendendosi un’altra sigaretta. «Per essere un ragazzino, non è niente male».
«Flavio, ci vediamo presto. Ora che sei di nuovo nel giro dopo cinque anni, lavoreremo insieme più spesso».
«Ci conto, ispettore. Ci conto davvero».

Uscii dal bagno e mi sedetti paziente nella sala d’attesa dello studio legale. Notai una rivista di moda e iniziai a navigare tra quelle pagine che pullulavano di belle ragazze con le ossa in bella vista e un’espressione del viso snob. Poi la mia attenzione cadde su un vecchio quotidiano stropicciato. Era vecchio di anni e il trafiletto sul lato sinistro era di mio padre.
Papà e mamma si erano innamorati quando erano giovanissimi ed entrambi condividevano la stessa passione per la scrittura. Amavano saper raccontare e saper trasmettere emozioni alla gente con le proprie parole. La differenza era il tipo di storie che preferivano raccontare. Mentre mio padre era alle prese con dossier di assassini, foto di incendi e articoli sulla mafia locale, mia madre era la regina delle indiscrezioni scabrose e degli scoop sui personaggi pubblici.
Mamma mi disse che papà morì in un incidente stradale. A ripensarci, credo sia stata quello lo spartiacque della mia famiglia.
«Fratellone, andiamo? Ho fame, devo ancora fare colazione!» disse Andrea scuotendomi il braccio e riportandomi alla realtà.
«E tu? Che fine avevi fatto?».
«Tu in macchina mi avevi detto di stare buono e io sono stato buono. Lo sai che sei stato proprio forte?!».
Lo baciai sulla fronte e gli strinsi la manina.

Usciti dall’ufficio ci dirigemmo verso il bar più vicino.
Presi un caffè macchiato, mentre Flavio si concesse un ulteriore caffè corretto. Il piccolo chiese espressamente «cornetto e cappuccino».
«Niente male» mi disse Flavio mentre mi accingevo a pagare.
«Ti riferisci al caso?».
«No, ai tuoi pantaloni  … certo che mi riferisco al caso!».
«Ok, non c’è bisogno di arrabbiarsi tanto …».
«Non montarti la testa, però. Ho conosciuto agenti di polizia che avevano capacità deduttive straordinarie e si sono persi per la strada, mi raccomando, non fare lo sbruffone, non sentirti mai arrivato, mai sazio. Devi continuamente avere fame, devi essere affamato, devi …».
«Sono affamato» guardai il mio fagottino.
Flavio tirò un enorme respiro e prese a guardarmi di traverso.
«Scherzavo. Ho capito» lo rassicurai.
Mi guardò ancora sospettoso.
«Prometto di non montarmi la testa. O vuoi anche il ditino» e gli mostrai il mignolo «per consolidare il patto?»
«E usa meno sarcasmo, già che ci sei» mi avvisò sporcandosi il pizzetto di crema al limone.
Colarte mi aveva messo sulla strada, alla macchina avrei pensato io. Giusto così, il carburante si sarebbe chiamato responsabilità.



Notte fonda, ore due e trenta.

Il vento sbatteva insistentemente sulle finestre provocando rumori da brivido e il continuo oscillare degli alberi garantiva un’atmosfera tetra e al tempo stesso temibile. In un salone davvero troppo sfarzoso per essere legale, due uomini parlavano e si confidavano segreti. Che essi fossero professionali o personali non aveva importanza. Il primo era un vecchio, aveva almeno novant’anni e tossiva in continuazione, ma era piuttosto arzillo. Le tempie imbiancate, le vene pulsanti e la voce roca suggerivano un’esistenza passata nel precario, sul filo del rasoio, in una condizione di vita molto altalenante. Gli occhi azzurri avevano ormai perso lo smalto di un tempo e per quanto in passato fosse stato un uomo forte e deciso, con il veloce sopraggiungere dell’età e della malattia che lo affliggeva era diventato debole come una foglia d’autunno e sembrava vulnerabile tanto quanto un bambino.
Il secondo tizio era suo figlio, con precisione il primogenito. Aveva dei capelli biondi scuri raccolti in un codino e un fisico invidiabile, da paura. I lineamenti duri e spigolosi completavano il quadro di una persona dotata di enorme freddezza e di uno sguardo capace di far impallidire il più coraggioso dei soldati. Non aveva sicuramente più di trentacinque anni, ma sembrava appartenere a questo mondo da molto, molto più tempo. Entrambi gli uomini fumavano, anche se il vecchio avrebbe dovuto smettere anni prima.
«Hai … hai telefonato a quella donna?» chiese l’uomo più vecchio.
«Certo, papà. Non avrei dovuto?» rispose l’uomo più giovane.
«No, hai fatto bene … quel porco avrà quello che si merita».
«Tutto questo per quello che accadde cinque anni fa, non è vero?».
«E per cosa altrimenti? Tua madre ha esalato l’ultimo respiro a causa di quel figlio di puttana!».
«Sì, lo so» asserì il biondo. Poi gettò la sua sigaretta in un elegante posacenere di cristallo e si distese comodamente sul divano slacciandosi la cravatta con una certa destrezza.
«La segnalazione di quel detenuto è stata davvero utile. Quand’è programmata la sua evasione?» domandò ancora il vecchio.
«Domani notte a quest’ora. Uno dei nostri si travestirà da sentinella e stordirà i poliziotti di guardia. Esattamente come previsto, papà».
«Pagherà caro, pagherà con la vita, quel bastardo. Non avrebbe dovuto mettersi contro di noi» sentenziò il vecchio, che intanto si era alzato dal suo posto ed era preso dal sistemarsi la giacca beige che portava quasi sempre.
«Che intenzioni hai, adesso?».
«Voglio andare nel mio studio e ritoccare bene il piano. Non gli permetterò mai più di accostarsi qui. Ci vorrà un po’ di tempo, ma sono certo che ce lo toglieremo dalle palle per sempre».
«Sarà meglio che ti riposi un po’, non credi? Potresti …».
Il vecchio sbottò e diede un pugno sul prezioso tavolino in legno pregiato. Un candelabro dorato si rovesciò a terra con violenza e la cera delle candele macchiò il parquet.
«Lo so io cosa devo fare e cosa il mio fisico può ancora fare. E adesso andrò nel mio studio a meditare su come posso uccidere quel porco, siamo intesi?».
«Intesi …» rispose suo figlio con calma. Non lo emozionava nulla e nemmeno un proiettile avrebbe scalfito la sua sicurezza.
Nonostante fosse suo padre avrebbe voluto prenderlo a pugni. Lo si notava solo guardandolo, con quell’espressione cattiva sul volto e gli occhi chiari che scintillavano sotto l’influenza dell’odio. Lo rispettava, certo, ma il suo carattere non faceva sconti.
«Chiunque ti si metta contro non merita di vivere» era quello che gli avevano insegnato. E questo valeva per tutti, parenti compresi.
«Ah, Diego …» lo chiamò suo padre mentre usciva dal salone. «Chiama tuo fratello e vedi cosa sta combinando, chiaro? Poi domattina parliamo. Intesi? Tanto di argomenti ce ne sono».
Diego annuì con tranquillità, poi, una volta che suo padre fu uscito dalla stanza, incrociò le gambe e i pensieri lo sovrastarono.
«Cinque anni … sono già passati cinque anni. Papà riuscirà a vendicarti, mamma. E ci riuscirò anch’io, te lo prometto» sul viso del ragazzo si dipinse un ghigno inquietante. «Ormai so tutto ciò che devo sapere».
Prese una foto spiegazzata dalla vetrinetta accanto al divano. Ritraeva suo padre da giovane, ma Diego la guardò sadicamente. Pochi attimi dopo le diede fuoco col suo accendino. 
«Quel detective …» riprese a pensare. «La cosa che non capisco è la sua idea di mettersi di nuovo contro di noi».
Si alzò e raggiunse l’enorme vetrata della casa. Osservò la luna e le stelle e aprì la porta finestra gettando le ceneri della foto nell’enorme giardino che aveva di fronte. «Come vuoi, amico. Morirai al più presto».


Nessun commento:

Posta un commento