mercoledì 30 settembre 2015

Alex Fedele - FILE 001 - L'arrivo



EPISODIO 1
La promessa


Volevo andarmene, onestamente. 
I miei capelli neri cadevano sulla mia fronte corrucciata e toccavano le folte sopracciglia.  Gli occhi scuri scrutavano ogni millimetro del vuoto. Per me, che avevo sempre vissuto in una piccola città, era uno shock arrivare in una metropoli come Torino. Ritrovarsi a diciotto anni, a cambiare realtà e abitudini è dura per chiunque. Il taxi su cui ormai ero salito stava giungendo a destinazione e doveva portarmi davanti ad un’abitazione nella quale avrei dovuto abitare per chissà quanto tempo.
Avevo superato brillantemente il corso ministeriale PSD (Promesse Settore Detective) e, sempre per ordini dall’alto, mi accingevo a trasferirmi in una grande città per un periodo di collaborazione con un’agenzia investigativa che si era messa a disposizione del Ministero per scopi puramente economici. Il Ministero offriva una rendita annuale di dodicimila euro a ogni agenzia che si dimostrasse volenterosa e ciò si traduceva in mille euro al mese. Un bel gruzzolo se sommati ai proventi dell’agenzia stessa.
«Siamo arrivati, fratellone?».
«Non ancora, Andrea. Porta ancora un po’ di pazienza».
Per lo più mi ritrovavo con il mio fratellino a carico. Andrea non era un elemento di disturbo. Assolutamente. Sapete però com’è … occuparsi di un bimbo di cinque anni è impegnativo per chi è genitore, figuriamoci per un ragazzino. Il fatto è che mio fratello maggiore era in viaggio per motivi universitari nei vecchi USA, mia madre lavorava presso una compagnia televisiva abbastanza nota in Giappone e non avevamo un padre da circa cinque anni.

Jacopo Grignani


«Siamo arrivati, ragazzo» la voce del tassista risuonò nel silenzio dell’auto coperto solo dal rumore incessante e fastidioso del motore. Il mio fratellino si distolse dal suo giochino, il noto cubo di Rubik e alzò la testa per guardare in che posto ci trovassimo. Ricordo che la sua espressione non mi piacque per niente e che sembrò essere ad un passo dal pianto.
«Grazie signore, quanto le devo?» dissi esibendomi nel mio miglior sorriso triste.
«Quindici euro» rispose lui con freddezza. Afferrò le banconote e ripartì sgommando.
Andrea aveva voluto per forza venire con me. Non gli andava l’idea di vivere negli Stati Uniti con Leonardo, né quella di cambiare completamente cultura in Giappone, seppur ci lavorasse la mamma, donna straordinaria e nel pieno della carriera giornalistica. Per esclusione era stato affidato a me e lui a casa, nella nostra piccola Fondi, si era dimostrato entusiasta, tanto da definire il lavoro di detective privato «uno spasso». D’un tratto però si era immobilizzato, con lo sguardo rivolto sull’asfalto reso ancor più grigio dalle nuvole dei primi giorni di Settembre.
Eravamo fermi di fronte ad un cancello ferrato color ruggine. Fissavamo il palazzotto che c’era al di là del giardinetto tenuto in ordine quanto bastava per fare una discreta impressione. A tutto ciò faceva da contorno un tempo non certo da suscitare applausi e feste. Il cielo di Torino era grigio, fumoso e tremendamente morto
Nella mia città avevo risolto un buon numero di casi aiutando la polizia come consulente. Non è difficile farsi notare quando tuo padre è un giornalista di nera che collabora con le forze dell’ordine e contribuisce a salvar loro la faccia quando è necessario.
«Dobbiamo suonare, piccolo» sussurrai
«Sicuro?».
Risi. La tenerezza di un bambino che aveva paura della nuova realtà.
«Eh sì. Non vorrai mica buscarti un raffreddore?» Non mi rispose per nulla. Abbassò la testa e scomparve nel suo piumotto color verde scuro. Mi abbassai sulle ginocchia, gli sollevai la testa e lo guardai negli occhi.
«Andrà tutto bene» tentai di consolarlo sorridendogli.
Mi guardò con aria sfiduciata e per un attimo mi sentii come uno sfigato.
«Tu non dovrai temere nulla. Starai con me, andrai a scuola, come sempre. Non abbiamo alternative, fratellino. Ti prometto che se farai il bravo avrai un bellissimo regalo, siamo d’accordo?».
Il suo sguardo s’illuminò. Forse lo avevo parzialmente rassicurato e quella era la cosa più importante. Ci accostammo dunque al cancello e una targa di pietra recitava:

AGENZIA INVESTIGATIVA FLAVIO MOGGELLI

C’era poi un campanello con scritta scolorita che diceva: MOGGELLI.
Non feci in tempo a suonare che alle mie spalle si era insediato qualcuno.
«Scusa, cosa stai facendo?» mi domando candidamente.
Mi girai. Devo ammettere che non me ne pentii affatto. Incontrai gli occhi neri di una ragazza pressoché della mia età, forse leggermente più piccola, ma doveva essere comunque questione di poco.
 Il viso che mi ero ritrovato di fronte era davvero gradevole e quanto di più affascinante potessi desiderare: gli occhi scuri mi interrogavano lasciandomi senza parole; le sottili sopracciglia, il nasino minuto e la bocca piccolina erano il preludio di una cascata di capelli neri scalati, lunghissimi e molto ben tenuti. Dopo essere stato circa dieci secondi a fissarla come un perfetto idiota, la lingua cominciò a voler essere indipendente dal cervello e così riuscii a bofonchiare qualcosa.
«Mi chiamo Alex e sono stato mandato qui dal Ministero. Sai, è per quel progetto che ha a che fare con il signor Moggelli».
«Ah sì, hai ragione!» esclamò entusiasta «Dovevo immaginarlo. Be’ ma chi è questo bimbo?» chiese illuminandosi mentre si rivolgeva ad Andrea.
«É il mio fratellino. Si chiama Andrea» risposi ancora disorientato.
La ragazza tentò di socializzare con mio fratello, ma il piccoletto era abbastanza diffidente e quindi si nascose dietro la mia figura, peraltro non certo imponente.
«Scusalo» dissi con un po’ di imbarazzo. «È molto timido».
«Oh, figurati. Ma che ci facciamo ancora qui? Entriamo, ti faccio vedere casa e agenzia».
Così dicendo aprì il cancelletto con un mazzo di chiavi vecchio quanto il mondo e lo richiuse con disinvoltura.
«A proposito, che scema, non mi sono nemmeno presentata. Mi chiamo Bianca. Sono la figlia del signor Moggelli»
«Molto piacere. In qualche senso l’avevo già immaginato» sussurrai.
«Roba da detective?» domandò.

«Già» e risi in modo naturale. Lei fece lo stesso. 

Nessun commento:

Posta un commento